Sara – Durante quali giorni ti trovasti a partecipare al movimento No-g8 di Genova del 2001 e quali furono le motivazioni che ti spinsero a partecipare?
Peter – Premetto che ho qualche difficoltà a ricordare esattamente i giorni. I giorni sono stati due (quelli a cui ho partecipato), i primi due. Non ricordo se erano giovedi e venerdi o venerdì e sabato. Comunque sono andato i primi due giorni.
Esattamente il primo giorno in occasione della manifestazione dei migranti che è stata una sorta di pre-corteo molto festoso, lo ricordo, molto tranquillo in cui non ci fu nessun tipo di disordine. Eravamo un numero relativamente limitato rispetto ai numeri grandi dei giorni successivi.
Un corteo colorato, carino, simpatico, finito con una festa. Ricordo sí, l’aria di festa che si respirava anche allo stadio Carlini dove eravamo alloggiati. Ci fu molta aspettativa da parte (di molti), in occasione di questa tre giorni. Ecco uno dei motivi che mi ha portatoa partecipare a questo corteo, al di lá delle posizioni politiche, che ognuno di noi aveva. Perchè in quei giorni e in quegli anni, anzi, in quei mesi, se vogliamo paragonarci alle manifestazioni precedenti… Napoli, Siattle ecc. … C’era molta aspettativa che questo movimento che stava nascendo, che era nato e che stava crescendo, potesse effettivamente cambiare qualcosa. Ecco, ci siamo molto illusi in quegli anni che, parafrasando e riprendendo lo slogan che andava tanto in voga in quei giorni al social forum che era “un altro mondo è possibile”, ci fu una grossa presa di coscenza, proprio si respirava. Ci fu una grossa presa di cosciena da parte, non solo del movimento che era comunque molto amplio rispetto agli anni precedenti, ma anche della cosiddetta società civile, che il mondo in mano a poche persone, a pochi capi di stato che in quei giorni si trovarono a banchettare anche a Genova, oltre che nelle città precedenti citate prima, non fosse giusto. Da mettere in termini molto easy, perchè era questa l’aria che si respirava, noi siamo andati la come anarchici e ricordo che andai insieme a un gruppo di non globalizzati, di disobbedienti, che erano molto numerosi nella zona in cui abitavo che è la zona appunto qui della Valdera. Quindi c’era una tale voglia di cambiamento che non si faceva neanche troppo caso alle distinzioni politiche. Si guardava dritti all’obiettivo. Sembrava che di colpo molti settarismi, molte distinzioni ideologiche venissero meno. Non so se ho detto tutto? Se vuoi puntualizzare qualcosa…
Sara -No perfetto,
In riferimento soprattutto a quei giorni e agli apparati statali che continuano il racconto della violenza poliziesca segnalandone solo gli eccessi, mentre nel frattempo i media si dedicano ai blackblock e parlano di infiltrazioni tra i manifestanti. Tu, in particolare, cosa hai visto in quei giorni e soprattutto come li hai vissuti? Anche emozionalmente parlando.
Peter – Allora, mentre mi trovavo. Diciamo così, prima di andare ci aspettavamo la repressione, che era in atto da parte degli apparati statali cosí come si era vista nelle manifestazioni immediatamente precedenti a Genova, con una certa escalation di controlli e repressione era gia evidente. La stragrande maggioranza dei gruppi politicizzati che sono venuti a Genova sono venuti gia bardati e pronti allo scontro con la polizia. Al di là di questo la mia speranza era che tutto questo non avvenisse, chiaramente, apparte che ero li fisicamente che di tutto avevo voglia meno che degli scontri fisici che per fortuna non mi hanno direttamente toccato anche se hanno toccato persone che erano con me. Però la speranza era che, vedendo un popolo in marcia, un popolo in tutte le sue estrazioni, politiche e non. Almeno di fronte a questo popolo la repressione poliziesca fosse messa in qualche modo tra parentesi, che non ci fosse il coraggio di reprimere una manifestazione così forte e speranzosa. Questo è durato un giorno, perchè il giorno successivo, immediatamente, la strategia messa in atto dalla polizia e di chi la controllava era abbastanza evidente.
Io in particolare mi sono ritrovato nel blocco che non è stato direttamente caricato ma che è stato spezzato da un altro blocco che aveva subito una carica. Blocco tra l’altro dove erano dei compagni qui della Valdera che sono stati costretti a fuggire, a rinchiudersi nei bar, a essere braccati. Nessuno di loro era stato arrestato. Questo lo dico per fortuna sapendo invece quello che è successo dopo a quelli che sono stati portati via.
Sara – Tu stai parlando di una repressione che vi aspettavate anche a causa di quella ricevuta da manifestazioni precedenti a quella del G8. Riprendendo cio di cui parlavi prima, da una parte te speravi di no, che non ci fosse repressione, ma si sentiva nell’aria. Tu e i tuoi compagni eravate preparati?
Peter – Eravamo preparati a una repressione di tipo poliziesco extra corteo, extra manifestazione. Sicuramente eravamo piú controllati, non c’era riunione politica che facevamo che non c’era il poliziotto e il digossino in borghese, sapevamo di essere controllati, la repressione, da questo punto di vista era messa in gioco. Non mi aspettavo o, meglio, speravo, di fronte a una manifestazione cosí ampia, cosí enorme, per lo meno certe strategie di tipo repressivo fisico, intendo manganellate a sangue, arresti e torture che sono seguite, almeno queste che non si verificassero. Però una cosa che mi ha colpito moltissimo, è la manifestazione successiva a Genova, perchè di fronte, anzi a seguito di una repressione cosí violenta, la manifestazione successiva, se non ricordo male, se la memoria non mi fa cilecca perchè sono passati tanti anni, fu a Firenze. I manifetanti in campo erano quasi un milione (di piú di quelli a Genova). Questo ci aumentó ancor piú la speranza nonostante la repressione poliziesca, nonostante i media che tendevano a giustificare l’operato della polizia soprattutto di fronte dell’esaltazione dei cosí detti mediatici black block. Di fronte e nonostante la campagna negativa di tutti i mass media, il popolo sembrava non volersi arrendere. Quella è stata forse l’ultima manifestazione a cui ho partecipato che potesse inscriversi all’interno dell’accrescimento di questo enorme social forum mondiale perchè dopo quella non si è visto più nulla. Si è visto solo il crollo, Paradossale è che a Firenze non ci fu neanche una carica della polizia, che io ricordi, nessuna repressione di tipo fisico violento e è stata anche l’ultima.
Sara – Ritornando a quei giorni a Genova ci fu tantissima repressione e violenza come hai ricordato anche te. Tu hai vissuto la morte di Carlo Giuliani, dove eri in quei momenti e cosa stava succedendo?
Peter – No, per fortuna non ero da quelle parti. Esattamente dove fossi in quel momento, se devo essere sincero non lo so. Non lo so perchè era una o due ore prima. Il caos era totale e la memoria è quella che è. Peró come ho detto prima il corteo era spezzato e caricato in vari punti. Non c’è stato più un corteo da seguire. È stato un fuggi fuggi generale. Io ricordo che solo per tentare nella serata di uscire da Genova feci un giro pazzesco, non so neanche esattamente dove sono finito, da dove sono passato. So solo che vi era polizia ovunque, cariche ovunque, vi erano fumogeni ovunque, vi erano disordini e anche distruzione ovunque. Questo è l’unica cosa che ricordo, il caos. Questo faceva parte indubbiamente della strategia, questo è un classico della manifestazione degli anni settanta. Le manifestazioni quando sono molto ampie vanno spezzate, bisogna dividere i buoni dai cattivi, mediaticamente parlando intendo. Bisogna dividere i facinorosi da quelli che sono lí per manifestare in pace salvo poi caricarli comunque perchè sono una preda più facile…
Sara – Scusa chi sono questi “facinorosi”…?
Peter – Mediaticamente parlando sono i black block, e tutti quelli che hanno tentato di entrare nella cosiddetta zona rossa. Io ricordo che per la morte di Carlo Giuliani fui avvertito per telefono da un compagno che era rimasto a casa e che si accingeva a venire a Genova il giorno successivo, forse non è neanche andato, a questo punto mi viene il dubbio perchè mi chiamó tutto impaurito, tutto impazzito, che stava mettendo il dubbio se fosse conveniente per la sua salvaguardia fisica… Quando io seppi della morte di Carlo Giuliani la paura prese anche a me e prese tanta, prese un po’ a tutti e da lì il mio bisogno di cercare di fuggire in qualche modo da quel caos che si era creato. Non tornai neanche allo stadio a recuperare le poche cose che mi ero portato, fu un fuggi fuggi. Ognuno tornó, o meglio, io e tanti altri tornammo a casa a notte fonda come si poteva. Io personalmente cercai di prendere il primo treno locale. Scappai. Questa è stata la mia Genova, un giorno di speranze distrutto completamente il giorno successivo.
Sara – Parlando del G8 Oggi. Dopo questo evento, come prima accennavi, c’è stato un declino crescente del movimento. Per te oggi, l’attualizzazione di quei momenti vissuti durante il g8, di quelle prospettive politiche che si davano parole d’ordine come “un altro mondo è possibile”, non c’erano molte distinzioni ideologiche e c’era unione. Attualizzando quei momenti, che prospettiva puó avere un movimento extraparlamentare oggi?
Peter – Da quella sconfitta, non ci siamo ancora ripresi. Non ci siamo ripresi proprio perchè di fronte al sogno di poter raggiungere un obiettivo cosí vicino, almeno ci sembrava che fosse vicino, essere sconfitti in questo modo, ha fatto arretrare il movimento di molti anni. Gli anni successivi mi sono sembrati gli anni novanta, gli anni del nulla politico. Gli anni dei gruppetti politicizzati, dei gruppetti che non riescono più a parlare con la società civile, con chi vive una vita quotidiana fatti di precarietá, di stenti. Gli anni novanta, gli anni fatti di individualismo, cerchi di sopravvivere, di stare alle regole, gli anni delle divisioni ideologiche. Perchè se siamo quattro gatti a fare politica tendiamo a pensare che la propria strategia sia la migliore. Io continuo a non vedere una ripresa dopo quegli anni, continuo a vedere una incapacità da parte del movimento, a riuscire a parlare al mondo. Poi la società è indubbiamente peggiorata. La globalizzazione, quella che combatteva il movimento (vi sono varie definizioni di globalizzazione), il male nemico comune oggi è il pane quotidiano di ogni esistenza. Oggi stiamo subendo, non solo da un punto di vista politico e ideologico, ma proprio da un punto di vista economico e sociale quella sconfitta. È come se ci fossimo arresi. Non parlo del movimento stesso, sicuramente ci siamo striminziti e di tanti che eravamo siamo rimasti pochi. Tantissimi di quel movimento hanno smesso di far politica o comunque la fanno in modo disinluso. Sicuramente si è ristretta la cintura di consenso che in quegli anni si era costruita intorno a sé.
Faccio un esempio stupidissimo che faccio sempre. Io faccio politica da quando ero ragazzino e non ricordo di aver avuto tanto consenso per fare politica, anche da persone insospettabili. Di solito la politica di certi contesti viene presa anche in giro. In quegli anni invece ero sostenuto da chiunque, dai miei genitori fino all’ultimo dei miei amici. E non solo per i numeri, anche perchè a Genova eravamo un numero non esagerato, però è il consenso che la società civile aveva creato intorno a questo movimento che mi faceva sentire di poter avere qualche speranza. Ora sparito.
Sara – Secondo te, questo sentimento oggi mancante è anche dovuto agli apparati statali e al lavoro dei media contro organizzazioni anti-capitalisti o simili?
Peter – Questo sinceramente non lo so, io ho un’idea, ma resta solo un’idea. Non sono neppure io convinto da cosa esattamente dipenda. Io non vedo una grande attività mediatica che tenda a denigrare, non vedo una grande campagna o propaganda tendenti a denigrare il movimento. Io credo sia dato dal fatto che non ci sia più movimento o non è più tale da mettere in discussione l’economia capitalista. È talmente tutto scontato e dato. Il capitalismo ha vinto. Però da un punto di vista culturale ha talmente vinto che chi tenta di opporsi ha una voce talmente risicata e ridotta che i media non hanno neanche bisogno di denigrarlo. Io ricordo non c’era giornale, radio o televisione che non parlasse del movimento, di Siattle, del bisogno del popolo di dire qualcosa di questa organizzazione. Dal contadino che vedeva nella globalizzazione un impoverimento del suo tenore di vita al comunista, anarchico o quello che era. Non c’era nessuno che non ne tenesse conto.
Mi sono sempre fatto una domanda molto semplice: di fronte a crisi di questo tipo, dove gli stessi economisti liberali mettono in discussione la capacitá del capitale di autoregolarsi, soprattutto su scala mondiale. Perchè non c’è una voce contraria che propone modelli alternativi? O meglio, non c’è una voce da un punto di vista mediatico, che sia in grado, non dico di contrastare, ma almeno di mediare questi modelli imperanti. Questo non significa che non esista più un movimento politico, il movimento politico c’è, ma non ha megafoni, non ha capacità di farsi sentire.
Sara – Per capire meglio. Secondo te, ora, non c’è una prospettiva futura. Il movimento italiano dopo il G8 di Genova è andato peggiorando senza riuscire a portare avanti l’idea “di un altro mondo è possibile”?
Peter – Se lo pensassi avrei gia smesso di far politica. Se mi si chiede invece come questo sia possibile, non lo so e non ho la piú pallida idea. Sento di essere molto pessimista a pensare (tossisce)… Se mi si chiede come questo sia possibile, io penso che ci vorranno tanti anni, molto tempo. Bisogna ricreare un movimento che vada al di la delle posizioni ideologiche che oggi sono molto forti. Soprattutto c’è bisogno di una grossa crisi che metta in contraddizione il capitalismo, ci vuole una crisi reale che è quella che stiamo vivendo e che forse puó in qualche modo risvegliare qualche coscienza. Ma, non vedo propspettive positive nel breve-medio periodo. Sono passati piú di 10 anni (perchè dopo il g8 il movimento è durato un pochino) e non vedo nessun sussulto che possa far pensare che le cose possano cambiare. Mi sembra che il movimento si sia ritirato dentro i suoi circoli, dentro le sue riunioni, dove mi trovo anche io, quindi è una critica che faccio anche a me stesso, ma piú che una critica è una descrizione, un dato di fatto. Tentiamo di uscire fuori dai circoli e troviamo dei muri, evidentemente le contraddizioni del capitalismo ancora non si fanno sentire, oppure la precarizzazione della vita di ognuno sta portando a isolarsi. Non lo so cosa possiamo sperare.
Sara – Grazie, volevo solo approfondire un ultimo punto. Come accennato prima, sia per il G8, i media parlavano dei manifestanti, di alcuni come black block, manifestanti violenti. Questo gruppo di persone si ritrova poi in altre manifestazioni (cosí come descritto dai media, tengo a sottolineare), si ritrovano all’interno di movimenti come i noTAV o la manifestazione del primo maggio contro l’EXPO di Milano. Chi sono i Black block e sono un pericolo secondo te?
Peter – Pericolo per chi? per il capitalismo no di certo. Per il movimento, qui c’è stato un dibattito negli anni molto feroce. Ricordo quando tornammo da Genova i black block furono accusati da, non tutto il movimento, chiaramente, ma da una sua buona parte, come i reali protagonisti del fallimento del G8 di Genova. Le posizioni negli anni si sono andate un pochino sfumando anche perchè la verità è venuta un pochino a galla nell’uso che è stato fatto di questo fantomatico black block.
Chi siano i black block io credo sia una falsa domanda… Io credo che sia un po’ come chiedersi chi siano gli anarchici informali, chi sono i compagni dell’Animal Liberation Front. Chiunque si riconosca in una certa pratica, in una certa politica e in una certa attivitá è un black block, non è una organizzazione e non vuole esserlo. Chiunque senta di voler manifestare un proprio disagio, il proprio disappunto anche con pratiche che possiamo piú o meno condannare… Io sinceramente non sono neppure troppo convinto che siano condannabili certe azioni quando sono rivolte a cose, oggetti non certo a persone… Chiunque si senta di aderire a una certa strategia è un black block. Il problema che a questa strategia ha aderito anche la polizia del tempo. Quindi i black block da un punto di vista mediatico si sono prestati involontariamente a una repressione successiva. Se non ci fossero stati i black block comunque li avrebbero inventati o avrebbero inventato qualcos’altro.
Gli animi erano molto calmi “e quando gli animi si scaldano” diceva una buona massima degli anni settanta, “di solito vince lo stato” perchè per quanta violenza puoi mettere in campo sia individuale, cioè come rabbia, sia collettivi con cortei piú o meno violenti, lo stato è sempre più armato di te. I black block sono stato uno strumento piú mediatico che reale che comunque si doveva realizzare.